Occupazione illegittima, non più possibile la rinuncia alla proprietà del fondo occupato

consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, in adunanza plenaria, con le sentenze gemelle 2 e 4 del 20 gennaio 2020, torna sul tema dell’occupazione illegittima e sancisce l’impossibilità di una rinuncia traslativa alla proprietà del bene occupato dalla Pubblica Amministrazione.

Come ben noto si ha illegittima occupazione dei suoli quando la Pubblica Amministrazione abbia costruito opere pubbliche su terreni privati in carenza di un valido decreto di esproprio. Verificando quindi l’attuale proprietà del bene su cui sorge l’opera, si potrà riscontrare come esso risulti ancora di proprietà privata.

A fronte di ciò l’ordinamento riconosce al proprietario il diritto di chiamare in causa la Pubblica Amministrazione per richiedere la restituzione del terreno con rimissione in pristino dello stato dei luoghi, nonché il pagamento di un risarcimento del danno per il periodo durante il quale l’illegittima occupazione si è protratta. Per ovviare a ciò la Pubblica Amministrazione può emettere, ai sensi dell’art. 42 bis dpr 327/2001, un provvedimento di acquisizione sanante del bene su cui sorge l’opera, alle condizioni previste dalla norma e con il corrispettivo di un indennizzo come normativamente previsto.

Era però fortemente discussa la possibilità da parte del proprietario che avesse subito una illegittima occupazione, di agire in giudizio non per chiedere la restituzione del bene, ma per chiedere il risarcimento del danno, rinunciando, esplicitamente o implicitamente, alla proprietà del bene stante l’irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi. Tale strategia processuale aveva la sua giustificazione da un lato nel tentativo di abbreviare i tempi giudiziali e dall’altro nell’offrire una migliore tutela al soggetto che non avesse interesse alla restituzione dei beni.

Il tema era stato più volte affrontato in giurisprudenza, con esiti contrastanti, seppure le recenti pronunce emesse sia dal Consiglio di Stato che dalla Corte di Cassazione, parevano voler andare verso un accoglimento di tale possibilità.

Ora il Consiglio di Stato, in adunanza plenaria e con due sentenze gemelle, esclude tale possibilità. Evidenzia infatti il Supremo Collegio Amministrativo, come una rinuncia del proprietario al bene illegittimamente occupato, sia da ritenersi non ammissibile nell’ordinamento in forza di tre argomenti:

non spiega esaurientemente la vicenda traslativa in capo all’Autorità espropriante; viene infatti sottolineato come la mera rinuncia non possa avere di per sé effetto traslativo, e come i casi in cui una sentenza possa avere effetti costitutivi di un diritto siano casi specialmente indicati dalla legge

la rinuncia sarebbe contenuta in un atto, quello introduttivo del giudizio, neppure direttamente firmato dal proprietario

soprattutto, e in senso decisivo e assorbente, una rinuncia alla proprietà non è provvista di base legale in un ambito, quello dell’espropriazione, dove il rispetto del principio di legalità è basilare

Conseguentemente alla doppia pronuncia del Consiglio di Stato, che si ritiene diverrà giurisprudenza costante, l’illecito permanente commesso dalla pubblica amministrazione nell’illegittima occupazione del fondo altrui, può risolversi solo con:

un atto di accordo tra le parti stipulato davanti al Notaio con traslazione volontaria della proprietà

la restituzione del bene ad opera della Pubblica Amministrazione, con rimissione in pristino dello stato dei luoghi e il pagamento dell’occupazione illegittima

l’emissione di un provvedimento di acquisizione sanante ad opera della Pubblica Amministrazione ex art. 42 bis dpr 327/2001

Una pronuncia, quella del Consiglio di Stato, assolutamente condivisibile sotto la luce del puro diritto, ma che di fatto restringe le possibilità di tutela del proprietario.

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