Servitù di acquedotto: art. 44 dpr 327/2001 o art. 1038 c.c.? Cassazione civile sez. I, 13/10/2020, n.22056

La servitù di acquedotto trova regolamentazione nell’art. 1038 del codice civile. La norma, evidentemente, pare riferirsi ad una conduzione di acque a cielo aperto, tale da impedire l’utilizzo del suolo al proprietario del fondo asservito. In tale prospettiva la norma impone, a chi acquisti la servitù coattiva, di pagare il valore del fondo asservito oltra ad un risarcimento per i danni causati alla porzione residua del bene anche per separazione in due o più parti o per altro deterioramento delle condizioni del fondo.

In tema di espropriazione per pubblica utilità il caso dell’asservimento è regolato dall’art. 44 dpr 327/2001 in modo a dire il vero piuttosto sbrigativo; la norma infatti si limita a sancire che in caso di asservimento è dovuta “una indennità al proprietario del fondo che, dalla esecuzione dell’opera pubblica o di pubblica utilità, sia gravato da una servitù o subisca una permanente diminuzione di valore per la perdita o la ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà”.

Nella prassi giurisprudenziale il valore dell’indennità di asservimento è normalmente rapportata ad una percentuale del valore del bene, percentuale determinata in relazione all’effettivo “incomodo” causato dall’asservimento rispetto alle possibilità di esercizio del diritto di proprietà. Tale valore percentualistico parrebbe tuttavia sancire una sorta di disparità di trattamento rispetto alla disciplina prevista dall’art. 1038 c.c. che invece attribuisce al proprietario del fondo asservito il diritto al riconoscimento del pieno valore del bene asservito.

In relazione a tale questione si è recentemente pronunciata Cassazione civile sez. I, 13/10/2020, n.22056: “L’indennità di asservimento, prevista dall’articolo 44 del Dpr 327/2001, deve essere determinata riducendo proporzionalmente l’indennità corrispondente al valore venale del bene, in ragione della minore compressione del diritto reale determinata dall’asservimento rispetto all’espropriazione; ne consegue l’inapplicabilità dell’articolo 1038, comma 1, del Cc che, in riferimento alla diversa fattispecie delle servitù di acquedotto e scarico coattivo, commisura l’indennità dovuta al proprietario del fondo servente all’intero valore venale del terreno occupato, in quanto, da un lato, la sua applicabilità in materia di opere pubbliche è preclusa dall’operatività della disciplina speciale dettata in materia di espropriazione e, dall’altro, essa presuppone che il proprietario del fondo servente perda la disponibilità della parte di terreno da occupare per la costruzione dell’acquedotto.”

La Suprema Corte afferma in primo luogo la prevalenza dell’art. 44 dpr 327/2001 sull’art. 1038 c.c. in ragione della specialità della norma.

In tale prospettiva la Corte ribadisce la legittimità di una indennità determinata, in caso di asservimento, in una percentuale del valore del bene asservito.

A ben ragionare sulle due norme e sulla pronuncia della Suprema Corte, non parrebbe però di poter leggere una discrasia così forte tra quanto sancito dalla normativa speciale e quanto previsto dalla normativa codicistica.

Come subito si è evidenziato la norma codicistica, forse pagando il peso degli anni, sembra infatti dettata per il solo caso di acquedotto a cielo aperto. Nella prassi attuale, viceversa, il passaggio delle acque viene per lo più garantito a mezzo dell’inserimento di tubazioni sotterranee.

Evidente è il diverso impatto sulla proprietà di tali due differenti soluzioni: l’acquedotto a cielo aperto sottrae la completa disponibilità del bene, andando a frazionare la proprietà, l’acquedotto sotterraneo, invece, pone semplicemente una serie di vincoli all’utilizzazione del terreno.

Fondata quindi appare la ratio di un differente trattamento: se ad un acquedotto a cielo aperto può corrispondere una indennità pari al valore del bene, nel caso di una tubatura sotterranea l’effettiva perdita di valore del fondo asservito può ben essere determinata in termini percentuali.

E d’altra parte né l’art. 44 dpr 327/2001 né il precedente di Cassazione citato paiono negare la possibilità di una indennità di esproprio pari al valore del bene, qualora l’asservimento per le sue concrete modalità di realizzazione determini una situazione di fatto tale per cui “il proprietario del fondo servente perda la disponibilità della parte di terreno da occupare per la costruzione dell’acquedotto” in quanto come sancito dall’art. 44 l’indennità deve essere rapportata alla “permanente diminuzione di valore per la perdita o la ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà”

Condividi su: